Marzo 2015 , mostra di J. Mirò presso Palazzo Te (Mantova): una delle sezioni della mostra si intitola: L’eloquenza della semplicità. La curatrice della mostra, Elvira Cámara López spiega:
” Vi sono quadri semplicissimi con tratti e linee così sottili e schematici che dicono tantissimo. La maturità gli diede la consapevolezza di poter rappresentare con una macchia, una linea o un punto un universo intero. Gli bastava un tratto”.
Bruno Munari, in “Lezioni di creatività” spiega:
“Complicare è facile,”semplificare” é difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere che cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’é in più della scultura che vuol fare. Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno una scultura bellissima, come si fa a sapere dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura? Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità. Eppure quando la gente si trova di fronte a certe espressioni di semplicità o di essenzialità dice inevitabilmente: “questo lo so fare anche io”, intendendo di non dare valore alle cose semplici perché a quel punto diventano quasi ovvie. In realtà quando la gente dice quella frase intende dire che lo può rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto prima.
La semplificazione è il segno dell’intelligenza…”.
Vinicio Capossela e la sua opera “Il paradiso dei calzini”.
“Grande storia sulla separazione, ma applicata ad un contesto semplice: la metafora dei calzini è semplice perchè tutti quanti noi abbiamo dei calzini spaiati.”
Ma allora mi chiedo: perché siamo sempre tesi verso cose complesse?