Di solito si usa “cuore di mamma”, ma in questo caso mi si conceda “cuore di educatrice”.
Nel lontano 2004, il mio percorso di educatrice, si è intrecciato con il percorso di vita di un bambino che all’epoca aveva cinque anni.
Emanuele, questo il suo nome, nato con una rarissima malformazione vascolare alla gamba destra, era sottoposto continuamente a cure molto pesanti e a frequenti interventi. La gamba era protetta da così tante garze e bende che si presentava grossissima.
Con il passare del tempo, le sue condizioni non davano segno di miglioramento; anzi il dolore era in continuo aumento tanto da costringerlo su di una sedia a rotelle.
Inoltre la gamba aveva delle pericolose emorragie spontanee. Sono ancora nitide le immagini di quando, nell’angolo della palestra della Scuola adibito a primo soccorso alle emorragie, Emanuele mi diceva:.”Cri, stringi forte le bende, forte! Cri secondo te ce la faccio …?”
Nonostante la drammaticità di quei momenti, non mi è mai sfiorato nella mente il pensiero che Ema non potesse farcela.
Esilissimo, pallido (veniva alimentato di notte attraverso una sonda), su una sedia a rotelle, è sempre stato caratterizzato da una grande combattività e vivacità intellettiva.
Un’altra arma a suo favore era la famiglia: una mamma e un papà che definisco due “forze della natura” che mai si sono lasciati annichilire dalle preoccupazioni e dalle angosce.
Poiché le cure e gli interventi non davano i risultati sperati, nel 2007 l’Équipe Medica che lo seguiva da tempo, propone l’amputazione della gamba. Inizia un altro calvario di sofferenze fisiche e psicologiche.
”L’intervento è veramente delicato e complesso” ci riferisce la mamma durante un colloquio a scuola in cui si fa il punto della situazione”non è detto che ce la faccia…”.
Penso: “Vabbè, ma Emanuele è forte , ce la fa!”
Ed è così che è andata: Ema ce l’ha fatta! Ricordo ancora con la stessa commozione, il giorno in cui tutti i suoi compagni, tutti i rispettivi genitori, le insegnanti ed io, siamo andati ad attenderlo all’aeroporto di Bologna per il suo rientro da Parigi, città dove era stato praticato l’intervento. Dopo tanti mesi di attesa, è stato accolto con un sincero boato di gioia.
L’amputazione, per quanto crudele potesse essere, l’aveva fatto rinascere.
Settembre 2016: altro boato di gioia! C’è sempre un aeroporto di mezzo, un volo diretto a Rio, si perché Ema , il “mio” Ema (Laura e Fabrizio, concedetemi solo per una volta questo “mio”) è l’Atleta più giovane della Squadra Italiana Paralimpica. Disciplina sportiva: la Scherma.
Io sono orgogliosa, anzi io sono super-iper orgogliosa!
Strano gioco del destino la scherma, come se con il suo fioretto restituisse al destino stesso, tutte quelle tremende, dolorose punzecchiature che ha dovuto subire per i primi otto anni di vita.
”Allora a questo punto mi rivolgo a te:
Caro Ema,
abbiamo viaggiato insieme per sei intensi anni fatti di paure, preoccupazioni, soddisfazioni, gioie, risate…ma anche sgridate…si perché eri veramente testardo. Quante volte ti dovevo dire di smettere di correre con le stampelle nel cortile ghiaioso della scuola…Ma d’altro canto tu non sei mai caduto!
Ed è proprio la tua testardaggine,la tua caparbietà che oggi, a 17 anni, ti ha portato non solo a partecipare ad una Paralimpiade, ma ad affrontare tanti impegni con energia e passione: scuola (Liceo Scientifico), pianoforte e scout.
Grazie per tutti gli insegnamenti che mi hai dato e per il tuo costante esempio di FORZA!
Con affetto . Cri
(Un abbraccio a Laura e Fabrizio)